viaggio in Kenya villaggio masaiUn villaggio masai in Kenya, danza propiziatrice del rito di passaggio

Il nostro viaggio in Kenya, per raccontarvi come un luogo possa cambiarti la vita.

Ottobre: gli ultimi ricordi dell’ estate stanno svanendo,  il passare inesorabile dei giorni  ci guida verso il freddo inverno, ma non voglio rassegnarmi alla dura realtà, non sono ancora pronto ad affrontare gelo, influenze e maltempo. Ho ancora bisogno di sentire il caldo sole sulla mia pelle ed il profumo del mare. Decido così di contattare  la mia amica Fabiana della Progetto Viaggi di Monfalcone e, dopo aver valutato veramente un po’ di tutto, scelgo il caldo Kenya  con safari incorporato,come meta del mio viaggio.

Una vacanza di 9 giorni ad un prezzo promozionale. Per circa un migliaio di euro a testa, tutto compreso, io e Paola abbiamo alloggiato a Watamu presso lo stupendo villaggio vacanze del Blue Bay Resort. Prima di partire ci siamo informati come sempre su usi e costumi, moneta, cambio, lingua, posti interessanti da vedere, guide locali, pericoli, vaccinazioni, cose da fare e da non fare e ci siamo ritrovati frastornati dalla quantità di informazioni e dalle esperienze incredibili da poter provare in prima persona.

Quali vaccinazioni servono per viaggiare in Kenya?

Vi dirò subito che non abbiamo fatto nessuna vaccinazione per la malaria, non perché ora va di moda essere antivax, ma perchè il periodo non era quello della anofele quindi siamo partiti tranquilli senza troppe preoccupazioni.

In generale consigliano ai turisti per essere sicuri di fare una profilassi preventiva contro malaria, febbre gialla, epatite A e B e meningite. Ma tra tutte la più consigliata è quella contro la malaria che consiste in alcune compresse da assumere prima della partenza per una o due settimane. Ci sono opinioni contrastanti sull’ utilità o meno della vaccinazione. Come sempre informatevi con il vostro medico e decidete di conseguenza.

Forse più che la puntura della zanzara dovete fare attenzione come sempre all’ acqua che bevete. Fate in modo di bere solo bevande in bottiglia  chiusa, evitate se possibile il ghiaccio e le vivande e cibarie esposte sui banconi o bancarelle lungo le strade o nei mercati. Basta un minimo di attenzione e non avrete problemi.

Dalla partenza all’ arrivo a Mombasa (Kenya)

Uno dei motivi principali del viaggio è stato ovviamente il safari. E’ tutta una vita che vedo documentari su  leoni e gazzelle, zebre, giraffe, ippopotami, elefanti e coccodrilli, sognando un giorno di vedere un leone da vicino. Per una volta quindi decido di lasciare a casa le mie fidate canne da pesca e di andare a caccia di animali selvatici armato esclusivamente di videocamera e macchina fotografica.

Il viaggio è stato lungo e faticoso, dopo un volo di quasi 9 ore siamo atterrati all’ aeroporto di Mombasa. La città è un benvenuto che ti accoglie come una sberla in piena faccia mostrandoti subito la cruda realtà e la povertà di quei luoghi. Certo, tutti sappiamo che in Africa si muore di fame, ma quando sei lì e vedi la miseria davanti a te in tutta la sua tristezza, in un istante tutte le tue certezze da moderno sapiens europeo crollano inesorabilmente.

 

Non esistono libretti con le  istruzioni, non ti dicono con che occhi dovrai guardare quel mondo, o come dovrai comportarti per interagire con quei luoghi, ci capiti in mezzo e devi trovare un modo  di accettarli e viverli serenamente altrimenti ne verrai maltrattato. In realtà, man mano che la vacanza proseguirà il nostro modo di vedere le cose verrà completamente stravolto e subirà il fascino misterioso e maestoso di questo Paese che resterà per sempre nel nostro cuore insieme ai colori, gli odori, i gusti e la gente con tutte le sue contraddizioni, nel bene e nel male.

L’ arrivo a Watamu al Blue Bay Village .

Dopo due ore di pullman che ci hanno presentato uno spaccato veritiero ed emozionante del paese in cui eravamo arrivati, attraversando città semidistrutte e foreste impenetrabili, arriviamo al villaggio vacanze. Subito veniamo assaliti da una marea di “beach boys” che a tutti i costi dovevano venderci qualcosa. Da una collana di conchiglie a un safari vero e proprio, non importa, loro dovevano venderci qualcosa e non si sarebbero fermati per nessun motivo. Un assalto frontale che ci ha preso tutti alla sprovvista e, in quell’ inizio di vacanza ancora da inquadrare, ha contribuito ad alimentare certamente in me stupore ma anche un senso di fastidio. I “beach boys” li trovate un po’ dappertutto ma qui erano particolarmente insistenti.

Così i primi giorni li abbiamo passati rinchiusi dentro il villaggio turistico un po’ impauriti e un po’ rintronati. Il villaggio era costantemente pattugliato da guardie armate con fucili e mitra e ci siamo accorti immediatamente dell’ esistenze sulla spiaggia di una linea immaginaria che nessuno dei beach boys poteva oltrepassare, per nessun motivo, nemmeno se eri tu ad invitarli.

Non mi soffermerò molto sul villaggio perché lo spazio è poco e ci sono tante cose da raccontare più interessanti. La giornata al Blue Bay inizia con una colazione intercontinentale imbarazzante. Di tutto e di più ma soprattutto ho potuto sfogare la mia brama per la frutta locale assaporando dolci profumi: mango, ananas, cocco, banane, tutto è amplificato qui, anche i sapori.  La giornata prosegue tra bordo piscina e spiaggia, tra un cocktail e una nuotata sotto un sole cocente e penetrante.

Si può avere un insegnante per fare tiro con l’ arco. Si può avere un istruttore per fare pratica con le immersioni. C’è un centro massaggi dove per pochi euro puoi avere dei massaggi paradisiaci. Il tutto all’ interno di un giardino fantastico pieno di fiori, profumi e colori unici che non si possono spiegare. Tra tutti, gli alberi di tiarè, il fiore da cui si ricava il monoi. Eccezionali! Pranzi e cene luculliane, a buffet e alla carta, completi di ogni pietanza possiate desiderare, con gustosi piatti locali a base di carne, pesce e frutta completano il cerchio.

Nella parte esterna del villaggio ci sono le scimmie che  pascolano libere sugli alberi ma non vi disturberanno mai. Gli inservienti indigeni hanno risolto il problema scimmie con un metodo cruento ma sicuramente efficace. Lo racconto perché mi ha davvero impressionato.

Dopo un periodo in cui le scimmie avevano preso il controllo del villaggio in modo esasperante e invadente, gli inservienti hanno individuato il capo branco, lo hanno catturato, sgozzato e lasciato appeso per settimane al di fuori del villaggio e, anche se a noi sembra un qualcosa di orrendo, dobbiamo capire che quelle che noi vediamo come tenere scimmiette sono più un problema che una risorsa. Per loro sono come i nostri ratti, le scimmie infatti sono portatrici di leptospirosi. Niente di troppo diverso quindi da una trappola per topi o un boccone avvelenato che usiamo noi in Italia, cambia solo location, problema e modo di risolverlo ma la sostanza rimane la stessa per tanto cruda possa sembrare.

Il terzo giorno gli animatori ci chiedono se vogliamo uscire con loro per un gelato e, anche se un po’ titubanti, li seguiamo nonostante avessimo ben impressa la scena dell’ assalto frontale dei beach boys. Non potevamo rassegnarci a rimanere nella nostra gabbia dorata e, insieme ad una coppia simpaticissima di italiani, Alessandro e Roberta, abbiamo chiamato due tuc tuc. Incredibile !! non ero mai stato in un tuc tuc.

Voglio raccontarvi questo episodio seppur apparentemente insignificante perché è stato proprio quello il momento della svolta. Passata la frenesia dei primi giorni infatti, iniziamo ad essere lasciati in pace dai locali e cominciamo a scoprire un paese ricco di colori, povero certamente, ma dove la gente sorride allegra. Ci accorgiamo che le strade sono piene di bambini che giocano e tutto ad un tratto ci è venuta voglia di esplorare questo posto. Non ci faceva più paura e, grazie ai due animatori ed i loro racconti, iniziamo a scoprire ed apprezzare anche noi questo strano paese e la sua cordiale semplicità.

Iniziamo ad organizzare il nostro safari in Kenya

 

Entrata Tsavo Est - safari Kenya
Entrata Tsavo Est – safari Kenya

Ritornati al villaggio vacanze, dopo un po’ di ricerche su internet, decido di contattare una guida locale con cui organizzare il nostro safari, un safari marino e visto che c’ero, una bella pesca d’ altura a caccia di marlin e tonni. Ok, vero, avevo detto che questa volta avrei lasciato le canne a casa, ma niente mi vieta di prenderle a noleggio sul posto no? Ci mettiamo in contatto con l’ agenzia Luma Tours di Watamu del premuroso Mani che ci presenta un articolato programma e in più ci affida una guida, che sarà a nostra disposizione per tutta la nostra vacanza: Romano.

Ovviamente Romano non è il suo vero nome, ma qui, data l’ invasione di italiani, hanno tutti nomi di calciatori, di protagonisti di serial televisivi o cantanti ovviamente italiani. E il bello è che molti locali masticano un po’ di italiano, raramente ho dovuto sfoggiare il mio imbarazzante inglese. Quindi, nuovo progetto vacanza per i prossimi giorni: due giorni di safari allo Tsavo Est con pernottamento in un lodge in mezzo alla savana, un giorno di blue safari presso il parco marino con grigliata di aragoste e barracuda sulla spiaggia, una visita al serpentario, un’ uscita di pesca d’ altura, una visita ad un villaggio masai  e una guida a disposizione a nostro piacere all’ esorbitante cifra di nemmeno 500 euro totali.

Lo stesso programma fatto con l’ organizzazione del villaggio costava il doppio, e a testa. Ora, sicuramente l’ organizzazione del villaggio è più sicura, meglio organizzata, coperta da assicurazione e con mezzi migliori ma, siamo in Africa, e ho deciso che voglio vivere il mio sogno africano imparando ad amare questa terra dalla sua gente e non comperarmi  il pacchetto per italiani studiato apposta.

A pesca d’ altura in Kenya

 

Iniziamo la nostra avventura con l’ uscita di pesca d’ altura. Un programma molto vario che parte dalla traina al marlin e al tonno, per poi passare al vertical jigging a caccia di carangidi, per finire nuovamente con la traina al marlin. Ci svegliamo la mattina alle 5 e raggiungiamo la spiaggia dove sono già arrivati i primi beach boys probabilmente ancora troppo assonnati per sferrare un attacco frontale. Siamo ansiosi di vedere la nostra barca per la pesca d’ altura e conoscere il famoso capitano Abdala che, nonostante non parli una parola di italiano, è un grande pescatore locale.

Che dire, forse un po’ troppo locale, si presenta infatti con una bagnarola in legno di circa 9 metri chiamata “Alfa Giri”, con un unico motore da 50 cavalli. Con lui due ragazzi molto giovani che gli fanno da assistenti. Rimango basito ma nonostante tutto, volevo vivere la vera Africa e quella era esattamente la risposta a quello che stavo cercando.

La giornata non è delle migliori e a fine giornata ci rendiamo conto di essere l’ unico equipaggio che ha catturato del pesce. Il capitano Abdala non usa ecoscandaglio o gps, lui sa dove andare a prendere il pesce! E’ quello che fa ogni giorno della sua vita e lo fa per vivere, non per divertimento. Nonostante tutto l’ attrezzatura di pesca non è niente male, mi spiega che è di un suo amico italiano, come la barca, e lui ne è una sorta di custode. Mi ritrovo perciò con buone canne e buoni mulinelli. Non esiste cintura,  non esiste motore di scorta, non esistono salvagenti. Ad un certo punto eravamo talmente distanti da riva che non si vedeva più terra all’ orizzonte ed eravamo completamente dispersi in un mare blu che pullulava di pesci di tutti i tipi compresi squali epici.

La traina è la classica traina con artificiali molto grandi, piombi guardiani o affondatori, peschiamo con 6 canne grazie ai divergenti laterali. Ora, lo ammetto, è la mia prima uscita di pesca d’ altura, sono molto emozionato e fremo per avere un mostro con cui combattere.

Inizialmente sulle canne più esterne collegate ai divergenti il capitano Abdala monta due terminali con i teaser che fungono da richiamo,  le due canne centrali armate con artificiali generosi che pescavano negli strati superficiali hanno atteso per un po’ l’ attacco di qualcosa di epico, più un’ ultima canna calata a poppa con l’ aiuto del downrigger che pescava più a fondo. Purtroppo non c’era gps quindi non ho la più pallida idea di velocità e profondità, ma il capitano Abdala sapeva cosa faceva e questo mi bastava.

Il primo pesce non è propriamente il marlin del vecchio Santiago ma è comunque una massiccia e onesta lampuga, verde come lo smeraldo, di svariati kg. Circa una ventina, non saprei quantificare, non c’erano bilance in barca, ma dei marlin nessuna traccia.

Proseguiamo verso una zona dove secondo il capitano Abdala ci sono tonni e squali ma, niente tonni e niente squali. In compenso riusciamo a catturare un pesce che loro chiamano wahoo con potenti mascelle e dei denti aguzzi e affilati che tagliano come lame. Trainiamo per ore, con risultati scarsi, le nostre poche catture sono solo pesciolini in confronto a quello che mi aspettavo di vedere, ma i pesci oggi sono in sciopero. Come se non bastasse navighiamo su una bagnarola e un unico motore da 50 cavalli a 20 miglia se non più dalla costa con onde alte più di due metri e senza salvagenti, un po’ inutili tra l’ altro in quella situazione. Se cadevamo in acqua eravamo morti. Non sono per niente sereno, non tanto per me quanto per Paola.

Dopo aver provato un po’ di tutto, il capitano si convince che il problema dello sciopero ittico sta negli artificiali e dopo averne provato di tutti i tipi, dimensione e colori, decide di voler provare con il vivo. Si attrezza quindi per catturare qualche alletterato da usare come esca viva per la traina. Montiamo così delle lenze con delle piume generose, una specie di pesca allo sgombro con i sabiki ma di misura extra large. Ne prendiamo uno solo e  dopo una lunga ricerca, ma è decisamente troppo grande per poterlo usare per esca. Niente da fare. La sfortuna ci perseguita.

Dopo 8 ore di barca, tante onde e poca gloria, iniziamo a sentirci un po’ a pezzi e chiediamo di tornare a terra.   La nostra prima gita quindi finisce così, con un po’ di amaro in bocca per non esser riuscito a catturare il big fish a cui puntavo. Sarà per la prossima volta in un’altra parte del mondo.

Il safari allo Tsavo Est

 

Safari in lingua swahili significa viaggio, e sono qui proprio per raccontarvi un viaggio che non dimenticherò mai. Partiamo la mattina presto da Watamu con una coppia di napoletani e 3 simpatiche maestrine svizzere giovani, poco vestite, con lentiggini e capelli rossi e ovviamente Romano, la nostra guida. Tutti nella stessa jeep, mi sento un leone nella savana, anche se mia moglie non è dello stesso avviso. Percorriamo una strada sterrata di un colore rosso intenso, che mi ricorda un po’ la terra del mio Carso, e attraversiamo giungla, savana, deserto.

Tante ore di strada sterrata separano Watamu dai cancelli dello Tsavo Est, il parco nazionale dove siamo diretti. Facciamo una tappa in una sorta di merceria in un paesino di capanne di fango e acquistiamo per una cifra ridicola svariati kg di riso, di fagioli, di farina e biscotti per i bambini. Lungo la strada ci sono persone che chiedono la carità, ma non i soliti “spettacoli” che chiedono gli spiccioli fuori dai supermercati in Italia, qui la gente muore di fame veramente, ho visto con i miei occhi mamme chiedere una manciata di riso con un figlio morto di malaria ai lati della strada.

Se qualcuno di voi prima o poi decidesse di fare un safari e di spendere cifre non proprio economiche per farlo, ricordatevi che con 20/30 euro comprerete un camion di cibo, e con un kg di farina e di riso una mamma kenyota riesce a sfamare i suoi bambini per una settimana.

Pensateci, la gratitudine che riceverete in cambio non è quantificabile né spiegabile. Ci siamo fermati anche in un “asilo”, niente di più di una capanna fatta con 4 pali di legno secco e delle panchette, senza tetto. Dentro c’erano una ventina di bambini dai 3 ai 6 anni circa, bellissimi, simpaticissimi, nonostante si percepisse una sensazione di povertà e di sofferenza non scorderò mai i loro sorrisi, i loro denti bianchissimi in netto contrasto con la loro pelle nera come il carbone e il rosso intenso della terra. Ci hanno cantano alcune canzoni mentre noi distribuivamo da mangiare per tutti.

Il mio cuore è straziato ma, anche nella miseria più nera che stavamo scrutando, vedevo persone felici, che cantavano, ballavano, scherzavano incuranti della totale desolazione in cui erano immerse. Sono queste le sensazioni che ti cambiano per sempre, prendono il tuo cuore in mano e lo stritolano, ma riempiono la tua vita di una consapevolezza di quanto noi italiani siamo fortunati e, nonostante abbiamo veramente tutto e troppo, non siamo capaci di apprezzarlo.

Quello che ho imparato da questo viaggio è che gli oggetti materiali di cui ci circondiamo non potranno mai dare una vera felicità. Non troveremo mai una vera realizzazione in una macchina sportiva, in un tablet di ultima generazione, in un vestito firmato. E’ tutto finto, effimero, passeggero, è una panacea mista ad un inganno sottile. La felicità è un atteggiamento mentale, o ce l’ hai, indipendentemente da quello che ti succede attorno, o semplicemente vivi fingendo di essere felice cercando di ingannarti da solo con dei surrogati tecnologici o griffe tanto costose quanto inutili.

Dopo lunghe ore di viaggio in jeep, shakerati come frullati, arriviamo alle porte dello Tsavo. Pochi minuti perché Romano acquisti i biglietti e facciamo subito conoscenza con scimmie, elefanti  e un incontro ravvicinato con un enorme coccodrillo del Nilo per fortuna mezzo addormentato che si gustava il sole sulla riva del fiume.

Entriamo e iniziamo ad esplorare un mondo stupendo, vivo e pulsante, attraversiamo decine di km alla ricerca di animali di tutti i tipi lungo tragitti battuti di terra rossa. Il panorama cambia continuamente da giungla, a savana, a deserto, lungo il fiume o in mezzo a rosse sassaie e colonie di termiti. Incontriamo un gruppo di leonesse con i cuccioli che proteggono la loro preda del giorno, una zebra che hanno catturato da poco e con la quale stanno banchettando, troviamo un’ infinità di elefanti, di zebre, di gazzelle, tante giraffe eleganti e un po’ snob, vediamo ippopotami, aquile, scimmie, scimpanzé e struzzi.

Continuiamo fino alle 2 di pomeriggio circa quando raggiungiamo il lodge per il pranzo. Mi immaginavo un campo base fatto di tende, abbastanza spartano, reduce anche dal mio incontro con il capitano Abdala e invece mi ritrovo in un vero e proprio centro vacanza in mezzo al niente. Veniamo accolti con succo di mango fresco, una rara delizia, e degli asciugamani freschi e profumati. La nostra “tenda” è di stoffa ma dentro non ha niente da invidiare a molti hotel 4 stelle. Tutto arredato in stile squisitamente etnico con materiale riciclato dalla savana, legno e pietra.

Dopo il pranzo riprendiamo la jeep pronti per continuare il safari armati di telecamere, macchine fotografiche, batterie di riserva e schede di memoria, tutto quello che ci serve. Di nuovo è un susseguirsi di incontri, sfuggevoli facoceri, gnu, impala, perfino un giaguaro,  per finire la giornata con uno dei tramonti più belli che possa ricordare con il Kilimangiaro in lontananza che proiettava la sua figura imponente. L’ unica parola che posso dire è “incredibile”. Non si possono spiegare quei colori, quegli odori, quella luce particolare, quella sensazione di non essere all’ apice della catena alimentare, il sentirsi una volta tanto un vero e proprio intruso dentro un mondo che non ha bisogno dell’ essere umano per prosperare, anzi.

Dopo una notte veramente rilassante dove penso di aver dormito e russato più di un facocero raffreddato, cullato da suoni di milioni di uccelli e animali, dai barriti fragorosi degli elefanti al cinguettio di uccelli di cui non saprò mai il nome, ci svegliamo di primo mattino, pronti per la seconda parte del nostro safari.

Passiamo ore protetti dalla nostra jeep a rimirare ancora questo mondo selvaggio tra colonie di scimpanzé, elefanti e ruminanti, assistendo ad un incontro all’ ultimo sangue tra due gazzelle maschio che si contendevano il branco di femmine, finchè ci dirigiamo verso l’ uscita dello Tsavo ma negli occhi ho ancora ben fissa la scena di ieri, le leonesse con i piccoli che si nutrono della zebra. Non la dimenticherò mai.

Al ritorno ci fermiamo in un vero villaggio Masai dove scopriamo usi e costumi di questi fieri guerrieri africani. Scopriamo come costruiscono le loro capanne, con lo sterco secco di mucca, che sorprendentemente non puzza e mantiene il fresco all’ interno. I loro giacigli sono composti da strati di cuoio, incredibilmente morbidi e comodi. Partecipiamo anche a quella che loro definiscono la danza propiziatrice del rito di passaggio.

Mi rendono partecipe del rito per diventare un guerriero e danzo con loro con in mano la coda di un leone. Il rito prevederebbe anche che, finite le danze, io parta alla ricerca di un leone armato solo di una lancia e lo uccida per dimostrare il mio valore ma, ehmm il tempo stringe e devo proprio ritornare a Watamu.

Prendetevi un attimo per guardare tutti i nostri scatti migliori in questa fantastica gallery

 

Il resto del viaggio

Il giorno successivo al rientro dal safari ci prendiamo un giorno di riposo tra spiaggia, massaggi, buffet principeschi e totale relax, pronti per affrontare l’ imminente Blu Safari. Nuotare in mezzo alla barriera corallina,  in mezzo a pesci variopinti di tutte le taglie, il non sentirsi nuovamente all’ apice della catena alimentare, offre nuovamente un fascino emozionante.

Il viaggio in barca prosegue fino ad una secca a qualche miglio dalla costa che chiamano Sardegna 2, sabbia bianchissima e fine, acqua cristallina che assume tutte le sfumature di azzurro possibili dove facciamo conoscenza con pesci palla, stelle marine e conchiglie di tutti i tipi e dimensioni mentre le nostre guide provvedono all’ allestimento del pranzo.

Antipasto: riso con il polipo, piatto nazionale molto gustoso. A seguire una grigliata epica a base di aragosta e barracuda. Avevo già mangiato il barracuda in Polinesia e confermo che rimane per me il pesce con le carni più gustose e saporite. Il pomeriggio ci ritroviamo in un isolotto stupendo a forma di cuore dove ci aspetta una merenda a base di frutta fresca mentre le nostre guide iniziano a cantare e ballare con strumenti improvvisati una canzoncina che abbiamo sentito fin dal nostro arrivo e che abbiamo sentito spesso durante la vacanza:

Jambo! Jambo Bwana, habari gani? mzuri sana, wageni wakaribishwa, Kenya yetu, hakuna matata. Traduzione: ciao, ciao straniero, come va? Molto bene! Gli stranieri sono i benvenuti, nel nostro Kenya nessun problema.

Fra le tante cose che ho imparato in questo viaggio e di cui farò tesoro ci sono i loro motti preferiti: “hakuna matata”, nessun problema! È il loro motto, ed è una filosofia di vita che noi italiani non possiamo capire a pieno, non è solo il ritornello del film di animazione della Disney “Il re Leone”. E come dimenticare “Pole pole? “ piano piano”, siccome non c’è nessun problema perché affannarsi? la vita è già affanno, prendiamola facile.

Visita al rettilario di Watamu

Gli ultimi appuntamenti della nostra vacanza sono la vista al rettilario dove incontro la mia nemesi. Non è proprio la cosa migliore per un pescatore essere terrorizzato da ciò che striscia e con il quale condivide volente o nolente gli spot di pesca e decido quindi per la terapia d’ urto. Cobra, cobra sputatori, vipere, serpenti spaghetto, pitoni e il temibile mamba, il black e il green. Un ranger simpatico ed entusiasta del proprio lavoro ci accompagna nella visita ma quando gli spiego della mia fobia per questo affascinante rettile decide di prenderne uno fuori dalla teca e mettermelo attorno al collo.

Ovviamente è un serpentello innocuo, senza denti e senza veleno, non è viscido, è stupendo, una sensazione molto particolare tenerlo in mano e attorno al collo. Ci sono anche tartarughe, coccodrilli e irrequieti varani. Il mamba mi ha impressionato, è un serpente subdolo, non è grande come il pitone o brutto e nero come il cobra, è affascinante e ha un taglio della bocca che somiglia ad un sorriso. La guida ci spiega che quello è il sorriso della morte e non si deve mai rispondere con un sorriso al sorriso del diavolo.

La fine della vacanza

Appena arrivati ero sicuro che non sarei mai uscito dal nostro villaggio vacanze senza scorta armata e invece dopo la visita al rettilario, mi ritrovo con Paola a passeggiare in mezzo a capanne di sterco e lamiera, in mezzo alla povertà e al fango, ma è bastato aprire gli occhi e guardare con il cuore, per essere travolti dalla varietà di colori, dai sorrisi della gente, dagli odori, dagli alberi in fiore con i loro profumi inebrianti.

Ci ritroviamo così in mezzo al niente, seduti su un ceppo di legno con 6 donne di tutte le età che ricoprono la testa di Paola di treccine, in mezzo a case di paglia e immondizia, con i bambini che giocano con galline e dei pennuti simili a tacchini veramente brutti, altre donne che tagliano rami, raccolgono erba e frutta per preparare la cena, il tutto a pochi metri da una discarica, che nel contesto ci stava pure.

Ultima cosa, prima di tornare a casa ci fermiamo in un mercato locale dove per pochi spiccioli acquistiamo mango, papaya, cocco e lime da portare a casa. In aereo infatti non c’è nessuna limitazione al trasporto. Attenzione, è vietato e rischiate multe salate, portare via conchiglie, sabbia e semi, ma con la frutta non ci sono problemi.

Considerazioni finali

Ogni viaggio arricchisce chi lo vive, ogni esperienza plasma il viaggiatore donando consapevolezza e arricchimento culturale. Ho vissuto la mia Africa come volevo, nel bene e nel male, provando alle volte euforia, alle volte paura, alle volte incredulità. Una cosa però rimarrà sempre nella mia mente, la serenità di questo luogo e di queste persone che nonostante vivano nella povertà più nera (qui è proprio il caso di dirlo) sono decisamente più vive, oneste e vere di molti “amici” e conoscenti italiani.

Di solito non ritorno mai nello stesso posto, ogni viaggio è un’ esperienza unica ed il bello è proprio questo, ma qui credo proprio che ritornerò prima o poi. Magari proprio per un altro safari, questa volta nel Masai Mara durante le migrazioni e, dimenticavo, Watamu significa “gente dolce”, per cui se verrete qui, lasciate perdere tutti i vostri preconcetti, tutto quello che pensate di sapere, è tutto sbagliato. Solo vivendo l’ Africa la si può capire ed innamorarsene a tal punto da sentire per sempre il grido ancestrale di quella terra che ti richiama a sé.

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